Essere coinvolti in pratiche di attivismo urbano nel contesto della metropoli contemporanea, implica trovarsi ad affrontare numerosi problemi concernenti lo statuto della rappresentazione, nell’accezione sia politica che estetica di questo termine. Come noto, le condizioni ideologiche e materiali dell’epoca attuale hanno determinato panorami soggettivi, la cui complessità risulta ormai irriducibile ai classici schemi molari della delega e della creazione di immaginario simbolico.
Quali, allora, i dispositivi oggi utilizzabili e/o messi in atto per rappresentare i soggetti e le dinamiche nella metropoli contemporanea?
I poteri egemonici, ovvero l’inscindibile integrazione di istituzioni pubbliche e interessi privati, a dispetto dell’inevitabile perdita di legittimazione a livello di rappresentanza politica, hanno appreso a fare uso in maniera sempre più pervadente delle tecniche di rappresentazione, pur di continuare a garantirsi la necessaria “presa” governamentale sui soggetti.
L’efficacia di tali dispositivi egemonici si basa di fatto sulla potenza di movimentazione che due affetti primordiali come la paura dell’ignoto e il desiderio di felicità sono da sempre capaci di suscitare nei soggetti.
Le rappresentazioni egemoniche veicolate dai media assolvono innanzitutto allo scopo di rendere leggibile la complessità della metropoli, soddisfacendo così la primaria necessità di “conoscenza”, anche superficiale, che è tipica espressione del soggetto occidentale contemporaneo. Frazionando la metropoli in tanti quartieri idealmente separati l’uno dall’altro, a ciascuno di essi può essere associata una comoda rappresentazione semplificata e unidimensionale. Nel caso poi di una specifica contingenza (intervento di “riqualificazione” urbana, speculazione immobiliare, evento internazionale...), l’immagine del quartiere può essere rapidamente polarizzata o fomentata secondo gli interessi da perseguire: esso diventerà allora pericoloso, degradato, trendy, modaiolo, alternativo...
Quali invece le dinamiche e le tecniche di rappresentazione attuabili da quelle realtà operanti nel contesto della metropoli contemporanea secondo prospettive non egemoniche? Quali le strategie a disposizione di chi, data la stessa natura comunicativa e relazionale della pratica attivistica, si trova a dover condividere con i poteri egemonici istanze assai prossime di rappresentazione? Come rendere evidente la propria differenza, e quali soggetti scegliere come interlocutori privilegiati della propria attività di rappresentazione (considerando sempre la doppia accezione politica ed estetica del termine)?
Data la natura della loro attività, non hanno mai potuto prescindere da questi problemi coloro che, con il loro impegno ormai quinquennale, hanno reso possibile (e ancora oggi continuano) l’esperienza dell’Isola Art Center di Milano. Per chi non ne fosse a conoscenza, si tratta di un caso estremamente originale di spazio espositivo e di ricerca indipendente nell’ambito dell’arte contemporanea, che è riuscito nel difficile intento di ricevere ampio riconoscimento a livello internazionale, rimanendo però indissolubilmente legato al contesto di un quartiere e alle specifiche istanze di lotta espresse dai suoi abitanti.
Tutto ha avuto inizio a partire dal 2001, quando nel quartiere Isola di Milano, incastonato tra la stazione di Porta Garibaldi ed alcuni importanti assi viari (senza però esserne attraversato), parte degli abitanti cominciò a mobilitarsi per opporsi a un piano urbanistico del Comune di Milano, destinato a stravolgere le caratteristiche del quartiere. L’area, con un lungo passato industriale ancora percepibile nella composizione di classe dei suoi abitanti e nel loro maggioritario orientamento politico, a partire dagli anni Novanta si era trovata al centro dell’attenzione di numerosi speculatori immobiliari. Uno spontaneo processo di “gentrification” era ad ogni modo già in corso, con il progressivo sopraggiungere in quartiere di studenti e giovani professionisti attratti dagli affitti ancora bassi: ma ciò non aveva ancora intaccato la specifica caratteristica del quartiere, ovvero l’abbondante presenza di officine artigianali e negozi a conduzione famigliare, e l’elevato tasso di residenti pluridecennali.
Come detto, a partire dal 2001 nel quartiere ebbe inizio un’intensa mobilitazione, animata soprattutto dalla nuova classe di residenti (studenti e giovani professionisti), con lo scopo di opporsi al piano del Comune che prevedeva la costruzione in quartiere di un volume sproporzionato di edifici (90 mila metri cubi) e di un grosso asse viario, oltre all’abbattimento di uno storico edificio industriale di proprietà del Comune, la Stecca degli Artigiani. Proprio questo edificio (oltre ai due piccoli giardini ad esso adiacenti) divenne presto il luogo simbolo della mobilitazione: i suoi numerosi spazi, fino a quel momento affittati solo parzialmente da alcuni artigiani, vennero occupati abusivamente da tutti i gruppi e le associazioni che in quei primi mesi si resero partecipi delle diverse attività di mobilitazione. Insegnamento dell’italiano agli stranieri, attività ricreative per i diversamente abili, riparazione biciclette, corsi di computer, mercatini di frutta e verdura biologica: queste erano solo alcune delle attività cui erano dediti i diversi soggetti presenti alla Stecca degli Artigiani, con la speranza si rendesse evidente anche ai pianificatori del Comune la potenzialità socio-culturale dell’edificio destinato invece all’abbattimento.
Tra loro vi erano ovviamente anche alcuni dei futuri animatori di Isola Art Center, compresi quelli che se ne possono considerare gli iniziatori: Bert Theis e Mariette Schiltz, lussemburghesi di origine ma residenti nel quartiere Isola di Milano dal 1996. Bert Theis aveva acquisito visibilità nell’ambiente dell’arte contemporanea quando, alla Biennale di Venezia del 1995, aveva presentato un simulacro di padiglione nazionale per il Lussemburgo. Da quel momento la sua carriera si era indirizzata nell’ambito dell’arte pubblica, privilegiando opere e installazioni che fossero soprattutto aperture di potenzialità, spazi neutri a disposizione del dialogo e del pensiero. Ma non appena ebbe inizio la mobilitazione nel quartiere Isola, Theis intravide la possibilità di coniugare le istanze dell’arte contemporanea con le istanze politiche degli abitanti. Iniziò allora con il fondare out (ufficio per la trasformazione urbana), occupando alla fine del 2002 una grande stanza al primo piano della Stecca: oltre ad ospitare numerosi incontri multidisciplinari, l’ufficio si impegnò a fondo per il quartiere, visualizzando con semplici illustrazioni grafiche la situazione dei piani urbanistici, e fornendo immagini ideali di futuri possibili in grado di stimolare la progettualità degli abitanti. In seguito Theis e Schilz cominciarono a promuovere la creazione di un centro indipendente per l’arte contemporanea al secondo piano della Stecca. Con la collaborazione di artisti, galleristi, curatori e critici (tra i quali Katia Anguelova, Stefano Boccalini, Alesssandra Poggianti e Marco Scotini), numerosi eventi di arte contemporanea furono realizzati tra il 2003 e il 2004 negli spazi della Stecca; ma fu solo a partire dall’autunno 2004, quando iniziarono a collaborare alle sue attività una quindicina tra studenti o neolaureati in arte e design (costituitisi poi nel gruppo Sugoe), che l’esperienza di Isola Art Center nei 1500 metri quadri al secondo piano della Stecca poté di fatto avere inizio.
Nel frattempo però, con il crescere delle associazioni coinvolte (giunte ad essere quasi una ventina), le dinamiche di rappresentanza all’interno della Stecca avevano cominciato progressivamente a deteriorarsi: chi e come doveva prendere le decisioni che riguardavano l’intera collettività? Quale la legittimazione delle rispettive autorità? Nonostante i ripetuti tentativi di contrattazione assembleare, un modello efficace e condiviso di “democrazia dal basso” non riuscì mai ad essere formalizzato né messo in pratica, e gradualmente le lacune comunicative e le incomprensioni tra i diversi soggetti portarono alla creazione di fazioni quasi contrapposte all’interno della Stecca.
In tale contesto, Isola Art Center preferì dedicare meno energie alle questioni interne della Stecca, e focalizzare piuttosto le sue attività sulle istanze di lotta del quartiere. Il gruppo di Isola Art Center aveva del resto sin dall’inizio scelto di essere in stretto contatto e collaborazione con il comitato di quartiere “I Mille” (capace di raccogliere oltre 8000 firme in opposizione al progetto urbanistico del Comune, e presentare 5 ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale) e la locale associazione dei genitori delle scuole elementari e medie. Ulteriori buoni rapporti erano stati instaurati con gli artigiani, la parrocchia, le sedi locali dei Ds e Rifondazione Comunista, e altre associazioni. Così facendo, Isola Art Center aveva reso concreta la sua aspirazione ad esistere come istituzione di arte contemporanea, imprescindibilmente legata alle istanze di lotta del suo quartiere.
Nei suoi quasi cinque anni di attività, negli spazi della Stecca e dei giardini ad essa adiacenti, il centro ha organizzato 13 eventi speciali, 27 incontri e 28 mostre con opere di oltre 200 artisti italiani ed internazionali (tra questi: Marjetica Potrc, Maria Papadimitriou, Michelangelo Pistoletto, Vedovamazzei, Loris Cecchini, Luca Pancrazzi, Tania Bruguera, Dan Perjovschi...). A dispetto dell’eterogeneità dei rispettivi linguaggi, i curatori del centro si sono sempre posti l’obiettivo di mettere in relazione le pratiche artistiche con quelle attivistiche. Un’analisi critica dei risultati ottenuti attende del resto ancora di essere effettuata: data la vastità del materiale prodotto, essa si rivelerebbe di certo proficua per rendere conto della reale potenzialità ed efficacia degli strumenti artistici nell’ambito della pratica politica contemporanea.
Ma mentre Isola Art Center e gli altri comitati e associazioni (riuniti dal 2006 nel Forum Isola) sperimentavano originali dinamiche di rappresentazione in grado di veicolare messaggi presso i soggetti più eterogenei (giovani, anziani, politici, avvocati, giornalisti, architetti, filosofi, artisti, ...), la situazione all’interno della Stecca si andava progressivamente aggravando. Dato l’ingente afflusso di persone in fascia notturna, attratte da alcuni bar e locali presenti nell’edificio, un numero sempre maggiore di spacciatori aveva cominciato ad operare in prossimità e all’interno della Stecca. Nel frattempo, anche la pressione urbanistica sul quartiere si era acuita: a partire dal 2005, il Comune aveva deciso di delegare la realizzazione esecutiva del progetto a una multinazionale texana, la Hines, che a sua volta aveva incaricato Boeri Studio (di Stefano Boeri) di provvedere ai progetti architettonici concernenti l’area dell’Isola. Con un tale dispiegamento di poteri egemonici, i media giunsero puntuali a svolgere il loro compito di rappresentazione: improvvisamente l’Isola si trovò infatti al centro dell’attenzione dei giornali, sulle pagine locali e a volte persino in quelle nazionali. L’Isola era diventata un quartiere pericoloso, la Stecca “il fortino della droga”.
In quella situazione di emergenza mediatica, che forniva al Comune e a Hines un’ottima legittimazione per sgomberare la Stecca, si diffuse tra i gruppi e le associazioni che continuavano ad operarvi una sensazione di isteria e di impotenza. Nonostante le divisioni interne, si provarono ad individuare delle soluzioni comuni al problema dello spaccio, ma senza ottenere alcun risultato concreto. A quel punto, non vedendo altre via d’uscita, alcune associazioni della Stecca (tra cui Isola Art Center) accettarono persino di collaborare tramite canali informali con alcuni membri del reparto antidroga della polizia, ma invano.
La “soluzione finale” giunse allora il mattino del 17 aprile 2007 (appena la sera prima si era inaugurata presso Isola Art Center una mostra ispirata al situazionismo): con un massiccio dispiegamento di forze la polizia venne a sgomberare l’intero edificio della Stecca, murandone immediatamente ogni accesso. Dopo qualche settimana le ruspe ne iniziarono l’abbattimento.
Nei mesi precedenti lo sgombero, alcuni artigiani ed associazioni erano scesi a patti con la multinazionale Hines, rinunciando a ogni “diritto di resistenza” in cambio di un nuovo spazio in cui poter continuare le loro attività. Isola Art Center invece, avendo sempre rifiutato qualunque offerta o compromesso con Hines, si trovò sprovvista di uno spazio in cui operare. Tuttavia, le relazioni instaurate negli anni con numerose realtà del quartiere le hanno permesso di proseguire le sue attività anche dopo lo sgombero, in qualità di “ospite” di altre associazioni o spazi espositivi. Oltretutto, proprio durante l’estate del 2007 Isola Art Center ha ottenuto importanti riconoscimenti internazionali, avendo presentato la sua esperienza presso il Museo Mamco di Ginevra e la X Biennale di Istanbul.
Nell’evento del 1 febbraio 2008, “Strada per strada”, è possibile constatare come tra gli animatori di Isola Art Center sia ancora forte la volontà di proseguire quella difficile attività di rappresentazione capace di rendere conto della reale complessità dei soggetti e delle dinamiche urbane contemporanee.
Si tratta di un evento ospitato negli spazi dell’associazione Punto Rosso (membro costituente del Forum Mondiale delle Alternative), con cui già ad ottobre 2007 Isola Art Center aveva dato inizio a Rosta Project, dipingendone le saracinesche con cinque immagini di quattro diversi artisti, centrate sulle specifiche istanze di lotta del quartiere.
Durante la serata, la direttrice Tiziana Villani e altri suoi collaboratori presenteranno il nuovo numero della rivista di filosofia Millepiani (dedicato alla figura di André Gorz), con la cui redazione Isola Art Center ha avviato sin dal 2005 una proficua collaborazione. Oltre ai curatori Roberto Pinto e Marco Scotini, alla successiva discussione prenderà parte anche l’artista cubano Carlos Garaicoa (già presente ad Isola Art Center nell’ambito della mostra Art-chitecture of change, aprile 2005), che nella sua opera ha sempre prestato particolare attenzione a questioni di carattere urbano e architettonico.
Infine, la serata sarà anche l’occasione per presentare il video “Street by Street” (interamente girato nelle strade di Tirana), con cui l’artista Fani Zguro, già collaboratore di Isola Art Center, ha vinto l’edizione 2008 del premio Onufri.